La plastica

La storia della plastica comincia nel XIX secolo, quando l’Inglese Alexander Parkes, sviluppando gli studi sul nitrato di cellulosa, isola e brevetta il primo materiale plastico semisintetico, che battezza Parkesine (più nota poi come Xylonite). Si tratta di un primo tipo di celluloide, utilizzato per la produzione di manici e scatole, ma anche di manufatti flessibili come i polsini e i colletti delle camicie.
La prima vera affermazione del nuovo materiale si ha però solo qualche anno dopo, quando nel 1870 i fratelli americani Hyatt brevettano la formula della celluloide, avendo l’obiettivo di sostituire il costoso e raro avorio nella produzione delle palle da biliardo, salvo incontrare un immediato successo presso i dentisti quale materiale da impiegarsi per le impronte dentarie.
Ma il secolo della plastica è il Novecento. Nel 1907 il chimico belga Leo Baekeland ottiene la prima resina termoindurente di origine sintetica, che brevetterà nel 1910 con il nome dei Bakelite. Il nuovo materiale ha un successo travolgente e la Bakelite diviene in breve e per molti anni la materia plastica più diffusa ed utilizzata.
Nel 1912 un chimico tedesco, Fritz Klatte, scopre il processo per la produzione del polivinilcloruro (PVC), che avrà grandissimi sviluppi industriali solo molti anni dopo.
Nel 1913 è la volta del primo materiale flessibile, trasparente ed impermeabile che trova subito applicazione nel campo dell’imballaggio: lo svizzero Jacques Edwin Brandenberger inventa il Cellophane, un materiale a base cellulosica prodotto in fogli sottilissimi e flessibili.
La guerra stimola l’esigenza di trovare sostituti a prodotti naturali non reperibili, per cui vengono sviluppati i poliuretani in sostituzione della gomma, soprattutto in Germania, mentre dal 1939 sono industrializzati i primi copolimeri cloruro-acetato di vinile, sviluppando scoperte di inizio secolo. Da allora il cloruro polivinile (PVC) servirà, ad esempio, per i dischi fonografici.
I decenni successivi sono quelli della grande crescita tecnologica, della progressiva affermazione per applicazioni sempre più sofisticate ed impensabili, grazie allo sviluppo dei cosìddetti “tecnopolimeri”. Il polimetilpentene (o TPX) utilizzato soprattutto per la produzione di articoli per i laboratori clinici, resistente alla sterilizzazione e con una perfetta trasparenza; le poliimmidi, resine termoindurenti che non si alterano se sottoposte per periodi anche molto lunghi a temperature di 300°C e che per questo vengono utilizzate nell’industria automobilistica per componenti del motore o per i forni a microonde; le resine acetaliche, il polifenilene ossido, gli ionomeri, i polisolfoni, il polifenilene solfuro, il polibutilentereftalato, il policarbonato usato, fra l'altro, per produrre i caschi spaziali degli astronauti, le lenti a contatto, gli scudi antiproiettile. I "tecnopolimeri" hanno tali caratteristiche di resistenza sia termica che meccanica (peraltro ancora in parte inesplorate) da renderli spesso superiori ai metalli speciali o alla ceramica, tanto che vengono utilizzati nella produzione di palette per turbine e di altre componenti dei motori degli aviogetti, o nella produzione di pistoni e fasce elastiche per automobili.

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